Guardare l'opera Parsifal

Parsifal costituisce l’ultimo dramma musicale scritto da Richard Wagner. Il soggetto dell’opera s’ispira liberamente a Parzival, un poema epico del XIII secolo di Wolfram von Eschenbach, letto da Wagner nel 1845 durante un suo soggiorno presso la città termale di Marienbad. Stando a quanto scritto nella sua autobiografia (Mein Leben), Wagner trovò definitiva ispirazione per la composizione del Parsifal il mattino del Venerdì Santo del 1857, quando abbozzò la struttura preliminare del dramma. Ma, com’è noto, i drammi wagneriani tendono ad avere tempi di gestazione piuttosto lunghi e, infatti, il libretto di questo dramma in realtà fu completato da Wagner solo molto tempo dopo, nella prima parte del 1877. Wagner, che aveva sessantacinque anni quando iniziò a scrivere la musica di Parsifal, terminò il primo e il secondo atto nel 1878, il terzo atto nel 1879 e completò la strumentazione a Palermo nel mese di gennaio del 1882, poco più di un anno prima della sua morte. Parsifal fu finalmente rappresentato per la prima volta al Festspielhaus di Bayreuth il 26 luglio del 1882, sotto la direzione del maestro Hermann Levi. 

Sono note oggi anche le obiezioni di Wagner circa le rappresentazioni di quest’opera al di fuori del suo teatro. Il mito greco e la leggenda cristiana s’intrecciano in Parsifal in un intimo nexus topologico, e così Wagner riservò la sua opera di consacrazione esclusivamente per Bayreuth. Una scelta che oggi potrebbe apparire controversa e difficilmente condivisibile, ma con ciò Wagner volle dimostrare la serietà con cui considerava la forma e il contenuto del suo ultimo dramma musicale, nella credenza che solo l’arte potesse salvare la ‘vera religione’, così come puntualizza nel suo saggio del 1880 Religione e Arte. La connotazione sacrale e mistica del lavoro fu evidenziata esplicitamente da Wagner, il quale chiamò Parsifal “Bünhenweifestspiel”, termine traducibile liberamente come “rito per la consacrazione del palcoscenico” (weih=sacro/sacrale). Per assistere all’opera era quindi necessario compiere una sorta di ‘pellegrinaggio’ nel luogo di rappresentazione designato dal maestro anche se, dopo la morte di Wagner nel 1883, furono autorizzate recite in forma di concerto. In seguito ad altre rappresentazioni non autorizzate nel mondo questo embargo fu definitivamente tolto dal 1914.

La trama

Atto primo – Il cavaliere Gurnemanz veglia al confine di una foresta, seduto sotto un maestoso albero mentre due giovani scudieri riposano ai suoi piedi. Risuona una solenne fanfara mattutina dal castello di Monsalvato, dove l’ordine dei cavalieri del Graal custodisce la sacra coppa. Gli scudieri esortati da Gurnemanz si destano e s’inginocchiano per pregare: la musica riecheggia dei loro pensieri devoti e sulla scena regna la pace. Poco vicino il re Amfortas viene scortato da due cavalieri affinché possa bagnare la sua ferita insanabile nelle acque di un lago. Si fermano per parlare con Gurnemanz, ma sono interrotti dalle grida di una strana figura a cavallo che s’avvicina rapidamente. È Kundry, donna dall’aspetto selvaggio e inquieto. Essa infila precipitosamente una piccola fiala di cristallo nella mano di Gurnemanz: è un balsamo esotico per la ferita del re, ma la speranza che possa guarirlo è vana. Gurnemanz ricorda gli eventi che hanno portato alla sconfitta di Amfortas da parte dello stregone Klingsor. Il re come tanti altri cavalieri prima di lui era partito per combatterlo, ma fu sedotto da una donna bellissima e diabolica nel suo giardino, perdendo così la sacra lancia che era stata inferta nel fianco di Cristo. Gurnemanz narra anche di come un tempo Klingsor abbia fatto causa per l’ammissione alla fratellanza del Graal, negatagli però da Titurel (padre di Amfortas). Ora Klingsor cerca la loro distruzione e attraverso il possesso della lancia costui è vicino al suo scopo. Ma, secondo la leggenda, la ferita del re potrà essere rimarginata: una voce invisibile avrebbe infatti annunciato l’arrivo di un “Puro folle, per compassione sapiente”. 

Improvvisamente un cigno colpito da una freccia cade morto vicino a Gurnemanz e, poco dopo, due cavalieri scortano un giovane accusato di aver ucciso l’animale sacro alla confraternita. Costui non sa nulla del Graal, della sua fratellanza o sacralità del cigno. Gurnemanz gli pone domande riguardo alla sua parentela, il nome e la sua terra natia. “Non lo so”, è la risposta invariabile del giovane. Eppure la sua innocenza fa sperare Gurnemanz che sia lui il puro folle che aspetta. Nel frattempo Amfortas è stato riportato al castello, dove si celebrerà la cerimonia dell’Agape. Gurnemanz con tono gentile invita il giovane a seguirlo. 

Mentre si odono rintocchi di campane, Gurnemanz e il giovane arrivano in una maestosa sala che si perde in un’alta cupola a volta dalla quale filtra della luce. Dai colonnati su entrambi i lati nella parte posteriore entrano i cavalieri marciando con passo solenne e Amfortas viene scortato dentro preceduto dai paggi che portano il Graal coperto. Ora il re viene esortato dal padre Titurel affinché scopra il Graal. Inizialmente riluttante e angosciato di non esserne degno, Amfortas poi obbedisce. Un raggio di luce si abbatte sul Graal, che brilla di un tenue chiarore viola che si diffonde attraverso la sala. Tutti s’inginocchiano tranne il giovane, rimasto immobile e ottuso al significato del sacro rito. “Sai quel che hai tu veduto?” chiede alla fine bruscamente Gurnemanz, gravemente deluso. Per risposta il giovane scuote la testa. Aprendo una porta laterale, il vecchio cavaliere esclama: “Davvero, altro che folle non sei!”. Con queste ultime e dure parole lo spinge fuori, chiudendo con rabbia la porta dietro di sé. Questa rottura irrisoria del sentimento religioso della scena finale sarebbe una brusca conclusione del primo atto ma Wagner permette alle voci nella cupola di essere ascoltate ancora una volta. Cala così il sipario, tra le armonie spirituali della Profezia del puro folle e il Motivo del Graal.

Atto secondo – Nella torre di un castello si trova Klingsor che, circondato da strumenti di magia, scruta dentro uno specchio metallico la cui superficie riflette tutto ciò che traspare nei suoi vasti domini, dove tende trappole alle guardie del Graal. Girandosi verso un’oscura fossa agita la mano. Un vapore bluastro si alza dall’abisso e in esso fluttua la forma di una donna: Kundry, ora però nelle vesti della suprema incantatrice del giardino magico. Si avvicina in quel momento al castello il giovane uomo che lei ha già incontrato nella foresta del Graal e in cui lei, come Klingsor, ha riconosciuto l’unico salvatore possibile di Amfortas e di sé stessa. Ma ora sarà proprio lei a doverlo attirare al suo destino per conto del suo padrone, perdendo così la sua ultima speranza di salvezza. Klingsor ancora una volta agita la mano, il castello e la torre svaniscono e al loro posto un giardino esotico riempie il paesaggio, mentre delle Fanciulle-fiore in grande trepidazione si riversano da ogni parte. Il giovane guarda con stupore la scena attratto dalla loro grazia e bellezza e le fanciulle si fanno avanti con gesti seducenti, cantando una melodia carezzevole. Egli osserva tutto sempre con innocenza mentre loro cercano di impressionarlo sempre più con il loro fascino. Infine, quando la loro rivalità amorosa raggiunge l’apice, irrompe la voce di Kundry: “Parsifal! Weile!” (Parsifal! Resta!”). Stordito, lui risponde: “«Parsifal»?…Così un giorno mi chiamava in sogno mia madre”. Finora nessuno lo aveva chiamato per nome, il quale ora fluttua verso lui come se fosse carico del profumo delle rose. Kundry, con braccia tese verso di lui lo accoglie dal suo giaciglio di fiori e irresistibilmente attratto da lei, Parsifal s’inginocchia al suo fianco. Promettendogli consolazione e sapienza, Kundry gli sussurra con tenui accenti e si china su di lui premendo un lungo bacio sulle sue labbra: è l’esca che ha segnato il destino di molti cavalieri del Graal. Eppure nel giovane ciò desta un cambio improvviso. Il gesto destinato a distruggerlo trasforma Parsifal in un uomo cosciente, consapevole della sua missione. La cerimonia nel castello del Graal, la ferita del re destinata a non rimarginarsi, il pericolo della tentazione posta sul suo cammino: il significato di tutto questo gli è svelato nel rapimento di quel bacio profano. Invano Kundry cerca di attirarlo ancora verso di lei e infuriata dal rifiuto, chiama Klingsor. Al suo clamore costui appare scagliando contro Parsifal la sacra lancia, la quale però si ferma in volo restando sospesa in aria sopra la sua testa. Dopo averla afferrata, Parsifal fa con essa il segno della croce e ogni incantesimo si spezza: il castello e le mura cadono in rovina, il giardino avvizzisce, lasciando al suo posto un deserto attraverso il quale Parsifal, lasciando Kundry come morta a terra, si avvia nuovamente alla ricerca del castello del Graal per compiere l’incarico che gli spetta.

Atto terzo – Mattino del Venerdì Santo. Dopo aver vagato a lungo, Parsifal si ritrova finalmente di nuovo ai confini della foresta del Graal. Con la Sacra Lancia in mano, vestito da capo a piedi in armatura scura, si avvicina ove vigila Gurnemanz e, dato che quest’ultimo ora si presenta a noi come un vecchio eremita, dobbiamo supporre che siano passati diversi anni dagli ultimi eventi. Kundry, ritrovata e risvegliata da Gurnemanz, serve umilmente la confraternita, ancora una volta come ai tempi del primo Atto. Parsifal, conficcata la lancia nel terreno e deposti spada e scudo, s’inginocchia in silenziosa preghiera. Commosso dopo averlo riconosciuto, il vecchio Gurnemanz consacra il possessore della lancia come nuovo re dei cavalieri del Graal. Parsifal quindi compie il suo primo incarico prendendo acqua dalla sorgente nell’incavo della sua mano, battezzando Kundry e sciogliendo così la sua maledizione secolare. Ora gli occhi della donna, soffusi di lacrime, si sollevano in dolce estasi mentre si ode il maestoso Motivo del Battesimo. Ancora una volta Gurnemanz, Kundry al seguito, conduce Parsifal al castello del Graal. I cavalieri sono radunati nella grande sala e Titurel ormai morto è portato dentro una bara in solenne processione davanti al giaciglio di Amfortas. “Scoprite il Graal! Adempi il rito!” gridano i cavalieri, facendo pressione su Amfortas. Per risposta, e in un parossismo di disperazione, Amfortas si alza strappandosi la veste e mostrando la sua ferita aperta. Esorta dolorosamente: “…ecco la ferita aperta! Il sangue che m’avvelena, ecco ne scorre: fuori l’armi! Le spade vostre piantate a fondo – a fondo, fino all’elsa! Su, eroi: uccidete il peccatore e il suo tormento, – per sé stesso allora il Graal vi splenderà! …”. Mentre Amfortas resta in piedi in preda a un’estasi di dolore, giunge Parsifal che tocca la ferita con la punta della sacra lancia. Ora Parsifal, in questo sensazionale tableau finale, dimostra di essere arrivato alla definitiva conclusione del suo iter spirituale. L’espressione di dolore di Amfortas e la tortura inflitta dalla ferita mutano nell’estasi più alta e santa, lo scrigno viene aperto e Parsifal solleva il Graal che irradia nuovamente luce. Amfortas e tutti i cavalieri s’inginocchiano, Kundry lo guarda con gratitudine, sprofondando dolcemente nel sonno di morte e perdono che tanto ha desiderato. Le reliquie sono così finalmente ricongiunte, mentre la musica fluttua su arpeggi eterei delle arpe portando l’opera a conclusione.

La Musica del Parsifal

Anche con Parsifal Wagner evoca un mondo sonoro singolare, frutto di una sapiente coesione tra musica, parola e leitmotiv, in un continuo gioco di riferimenti incrociati e simbolici nei loro trattamenti e manipolazioni. Tutte le tecniche che si potrebbero definire come caratteristiche proprie della musica di Wagner sono in quest’opera certamente presenti, ma allo stesso tempo sono anche spinte al limite e distillate nella loro essenza più pura. La costruzione musicale di Parsifal, infatti, si fonda sopra una quantità minima di materiale motivico. Ma la vera grande conquista di Wagner in questo suo ultimo lavoro risiede soprattutto nel fatto che egli è stato in grado di dimostrare che le forze opposte che costituiscono la sua materia sono profondamente fuse ma indipendenti, completamente ambigue e infine per nulla in opposizione. Da quest’unione di musica e immagini sonore, nascono trame, personaggi e musica; elementi che si diramano fino al termine dell’opera. Ogni personaggio in Parsifal può ancora essere identificato da un tema ben distinto, ma esiste un fortissimo grado di parentela fra tutti i motivi presenti. Da un lato potrebbe sembrare contraddittorio, ossia avere temi fortemente individuali che sono però anche strettamente collegati fra loro, ma ciò che hanno in comune è tanto importante quanto ciò che li rende entità distinte. Questo perché la forza dell’intero lavoro in realtà proviene da un’unica immagine sonora centrale e questi attributi comuni risiedono nella loro relazione con la melodia con la quale ha inizio Parsifal

Il Preludio dell’opera inizia con violini e violoncelli all’unisono con sordina, il loro timbro fuso con quello di un clarinetto e un fagotto, poi un corno inglese. Il nucleo musicale iniziale è al tempo stesso un contenitore di tensione e riconciliazione: una melodia solenne e sofferente, piena di implicite tensioni, che è immediatamente reiterata circondata dal delicato nimbo di accordi ribattuti e arpeggi che salgono verso un misterioso silenzio. Dopo una lunga pausa la melodia torna ma in minore, passando armonicamente dal do al mi minore, con intensificazioni nel tessuto orchestrale e alterazioni ritmico-intervallari, ma ancora una volta tutto svanisce nel silenzio. In tutto ciò si percepisce una strana assenza di movimento, i contorni, il ritmo e il metro sembrano sfocati e gli impulsi principali appaiono come diluiti. Quasi come una liturgia astratta, la melodia misteriosa apparentemente priva di forma lega tutti questi elementi insieme in una salmodia che ricorda antichi canti di Kyrie o Hallelujah.

Questo lungo disegno melodico, nella sua prima veste dal carattere diatonico e la seconda cromatica, racchiude tutto il materiale genetico dell’opera, essendo al tempo stesso non solo il centro ma anche i suoi limiti estremi e le sue principali linee di convergenza. Non è un leitmotiv bensì un personaggio sonoro, il nucleo che sviluppa la sostanza espressiva e musicale del lavoro. Questa musica, infatti, che ritorna per intero nell’episodio della Comunione dell’Atto I, contiene al suo interno nella sua veste in modo maggiore (Lab) anche una moltitudine di frammenti diatonici che nell’opera rappresentano tutte quelle immagini d’innocenza, natura, purezza di cuore e santità: il Motivo del Cigno, il Graal, le campane del castello di Monsalvato o la musica dell’Incantesimo del Venerdì Santo nell’Atto III fino ad arrivare alla conclusione stessa dell’opera.

La controparte in minore della melodia iniziale non costituisce una sintesi di contenuti o motivi. Piuttosto, essa è una linea dalla quale possono germogliare motivi legati al peccato, la sofferenza e i richiami alla redenzione. Nel Preludio, il motivo associato al Graal è pronunciato dagli ottoni, frase musicale ascendente nota anche con il nome di ‘Amen di Dresda’ e che figura anche in altri celebri opere musicali come il movimento finale della Sinfonia no.5 ‘La Riforma’ di Felix Mendelssohn. Irrompe poi con forza il Motivo della Fede, suonato dagli ottoni: dapprima solo l’incipit per due volte, prima con una risoluzione sull’accordo di Mib maggiore, poi Solb maggiore. Infine, il motivo viene pronunciato con maggior impeto in una frase più estesa con l’aiuto di tre oboi ed i fagotti, fermandosi su un accordo di Mib minore con corona. Ripetuto il Motivo del Graal, il Motivo della Fede ricompare tra i legni, ripreso poi dagli archi e infine gli ottoni in un potente crescendo orchestrale. È un tema che ricorda un inno o il coro dei pellegrini dal Tannhauser per la sua incisività, in grado di esprimere dolcezza se suonato piano dagli archi o risolutezza se intonato dagli ottoni.  In seguito si passa alla sezione finale del Preludio e con il Motivo dell’Agape e della Lancia accompagnato dal tremolo degli archi, dal quale però sfocia una frase pregna di significato ed espressività, il Motivo Elegiaco associato alla pietà. È un passaggio orchestrale ricco e denso, il quale rapidamente porta verso quello che più tardi diverrà il Motivo del Redentore. Infine, il Preludio termina in modo enigmatico in dissolvenza e in acuto su accordi sincopati dell’accordo di Mi bemolle settima.

Si è già accennato al fatto che Wagner in Parsifal sia stato più sobrio nel trattamento del suo materiale motivico-musicale. Ciò nonostante, come si è potuto evincere dalla descrizione sintetica del Preludio, Parsifal contiene comunque una generosa dose di motivi strettamente imparentati. Wagner in seguito farà uso di tale materiale quasi nella sua totalità già nelle prime pagine dell’opera: dal Motivo della Sofferenza di Amfortas, al galoppo di Kundry, al Motivo della Profezia e il tema dei corni che caratterizza Parsifal e ancora le citazioni del Motivo del Cigno dal Lohengrin che accompagnano i rimproveri di Gurnemanz verso il giovane. Per non parlare delle citazioni del materiale motivico che accompagnano le lunghe narrazioni di Gurnemanz circa la storia dei Cavalieri del Graal, Titurel e Klingsor. Il Motivo della Cavalcata che illustra l’avvicinarsi rapido di Kundry, al culmine di un lungo crescendo degli archi s’impenna in quello che è il vero Motivo di Kundry, con un gesto che inizia in fortissimo e con una dissonanza non preparata e tenuta sul V grado di Si minore con la nona, per poi precipitare per ben quattro ottave dai violini fino al Fa# dei violoncelli. Con questo motivo, che bene illustra l’arrivo della donna misteriosa e selvatica con la sua cavalcata demoniaca, Wagner implicitamente espone musicalmente anche la sua duplice natura. Kundry, infatti, è in contatto con il mondo della stregoneria: lei adopera la magia ma ne è anche vittima e i due motivi lontani dal diatonismo sacro del Graal derivano dal medesima cellula compositiva. Questi possiedono tratti simili al Motivo dell’Incantesimo/Magia nelle armonie e con Kundry affiora anche la tonalità che caratterizza lo stregone Klingsor, il Si minore. Da quest’area tonale, Wagner si sposta verso il Sol minore terminando con terze discendenti nei clarinetti per introdurre un’altra Kundry: la donna serva e fedele messaggera del Graal. 

La presenza dello stregone Klingsor nell’opera è introdotta da un colore sinistro e cupo dell’orchestra: il suo motivo rivela una curiosa struttura ad anello, dove convivono il cromatismo e diatonismo. È una versione distorta dei temi del Graal e dell’Agape, gesto dal chiaro valore simbolico. Il racconto invece della consegna a Titurel del Graal e della Lancia si svolge proprio sugli intrecci dell’Agape e del Graal. Manca soltanto il tema della Fede, anche se in realtà è presente sotto altre forme e nella veste di Engelmotiv (angeli) che si manifesta sulle armonie del ciclo dell’Agape in maniera retrograda.

Durante il viaggio di Gurnemanz e Parsifal verso Monsalvato, Wagner accompagna il cambio di scena con una spettacolare transizione musicale. In questa mirabile pagina sinfonica scompare la foresta e si apre una grotta fra volte rocciose mentre gradualmente si levano in un crescendo le note lunghe e sostenute della ‘musica della trasformazione scenica’. Durante tutto ciò, Wagner elabora una frase musicale in combinazione con i temi legati al Graal, solitamente presa per imitazione e basata su le quattro note di quattro grandi campane. Più ci si avvicina al castello e più questi rintocchi sono forti. Wagner si serve del motivo delle campane soprattutto come basso fondamentale e motivo cardine del sontuoso interludio orchestrale e la processione solenne nella sala del Castello del Graal. Con il Motivo dell’Agape che risuona solennemente e fortissimo nelle sei trombe e tromboni fuori scena, seguito dal potente Motivo delle Campane, Gurnemanz e Parsifal entrano nella sala. Tutto quest’episodio che culmina con una possente enunciazione del Motivo del Graal è uno splendido esempio della straordinaria capacità di Wagner nel saper scrivere una musica per orchestra e coro in modo maestoso e polifonico. 

Come per la scena della Comunione, prossima alla celebrazione, la quale viene ‘spezzata’ dal dolore violento e dalla contrizione di Amfortas, anche la maestosità di questa pagina sinfonica è interrotta ma dall’angosciante Motivo della Contrizione, simbolo della sofferenza spirituale del re. Questo suggerisce in modo velato il Motivo Elegiaco e quello della Sofferenza di Amfortas, ma intensificati di grado, come se la musica stessa fosse un grido di tortura che affligge anima e corpo. Da tenere a mente che in Parsifal questa è l’idea musicale e scenica centrale, il ‘simbolo del tutto’: in definitiva il tema dell’opera. Questo è il Motivo dell’Agape, in cui prende forma il carattere ieratico-spirituale. Concepito indipendentemente dal testo, quale visione sonora e scenica che apre il terreno, fu lo stesso Wagner a definire la scena dell’Agape come ‘scena principale’ e come ‘il nocciolo del tutto’ (Dai Diari di Cosima, 11-08-1877). Qui si realizza il carattere dell’estasi, della sacralizzazione, dell’eterno. Si compie anche l’estinzione della temporalità, la trasformazione di coscienza del tempo in una spazialità liberata dal reale. Il tema simboleggia però anche l’antipodo di quello stato puro, non legato ad alcun luogo. Come notò Wagner stesso “vi sono contenute le sofferenze di Amfortas”.

Il secondo atto si apre con un evocativo preludio orchestrale e il minaccioso Motivo di Klingsor, seguito dai temi legati alla Magia e alla Contrizione. Torna il selvaggio Motivo di Kundry, che sprofonda nel registro grave dell’orchestra, seguito da cupi cromatismi che portano alla prima scena. Questo è il materiale che andrà a costituire la base della prima scena dell’atto, in termini drammatici e musicali. E, sebbene il tipico cromatismo wagneriano sia presente pressoché in ogni pagina dell’intera opera, Wagner in quest’atto spinge l’ambiguità tonale e l’instabilità armonica davvero fino a confini inauditi. Questo sia per fare da contrappeso al primo e terzo atto, ma soprattutto per meglio caratterizzare anche tutto ciò che è legato al male, dolore; in altre parole ideologicamente opposto a ciò che è sacro e legato al mondo del Graal. La musica della scena di seduzione con le Fanciulle-fiore nel giardino incantato è da considerarsi uno dei momenti più singolari dell’intero lavoro. Esse arrivano a cantare fino a diciotto gruppi separati di voci e a dodici parti reali insieme all’orchestra e anche qui domina il cromatismo in un particolare motivo che viene ripetuto con insistenza per una quarantina di battute. Straordinario nella sua efficacia nell’evocare un profondo senso di seduzione anche un coro delle fanciulle in 3/4, un delicato valzer corale ove Wagner, con una musica che vuole essere quasi olfattiva e profumata, anticipa sonorità che ora noi ritroviamo in certa musica di Debussy. Com’è noto, la musica di Parsifal esercitò una certa influenza sulla musica del compositore francese, e non è difficile notare una certa affinità tra il coro di queste fanciulle con quello di Sirènes dai suoi Nocturnes

Wagner non si ferma certo qui nel percorso di tentazione di Parsifal, anzi si spinge ancora oltre per l’incredibile scena tra il giovane e Kundry, ora nei panni di una Venere seduttrice. Impossibile restare indifferenti alla voce di Kundry che irrompe tra la confusione mentre sillaba lentamente per la prima volta il nome Par-si-fal. Il giovane non può che arrestarsi completamente intontito. Nel suo lungo solo, Kundry cerca di destare interesse nel giovane parlandogli di sua madre e ricordagli la sua fanciullezza, la sua dipartita e la morte della madre in un canto d’innegabile pathos e rara bellezza melodica. Questa musica, davvero ipnotica e ammaliante, vede Wagner spingersi in territori armonici certamente estremi, ambigui ed ostili anche oggi a tentativi di analisi, ma tutto comunque in funzione di ciò che egli sta rappresentando sulla scena. La seduzione che Wagner mette in scena si basa su complessi strati psicologici e richiami. Si pensi per esempio anche alla dolce ninnananna di Kundry (Ich sah das Kind), impostata su una variazione del motivo della madre di Parsifal, Herzeleide. In queste pagine di narrazione e seduzione, attraverso Kundry Wagner fa leva su molteplici forme di peccato che la donna prometterà di espiare con l’amore carnale, ossia l’amore irrisolto di Parsifal verso la madre abbandonata. Kundry fa quindi leva sul suo passato rimosso, ma anche il peccato di se stessa poiché lei un tempo fu la donna che derise Cristo sulla croce.

L’atto conclusivo si apre con un preludio orchestrale in Sib minore, il quale ripercorre in musica gli eventi trascorsi, mescolando ed elaborando materiale musicale precedente.

È un sommo esempio della cosiddetta arte della transizione, tecnica di cui Wagner era padrone. Gli archi in pianissimo introducono un motivo nuovo, quello della Desolazione, dalle cupe armonie e fitto cromatismo. Volendo illustrare il cieco vagabondare di Parsifal dopo gli eventi dell’atto precedente, Wagner indica Sehr langsam, ausdrucksoll (molto lento, espressivo). Anche se Parsifal ha sconfitto Klingsor, un’angosciante ombra di irrisolutezza lo segue. Il Motivo dell’Errare di Parsifal è una variante di quello di Kundry, allusione al fatto che anche lui ora condivide la sorte che è toccata alla donna. Simbolo di progressivo disfacimento del mondo del Graal, Wagner introduce anche elementi distorti del Motivo della Campane, nella forma per diminuzione del Motivo della Desolazione: tritoni che alludono agli intervalli di quarta e quinta. Il motivo errante di Parsifal sfocia senza interruzioni in quello del Graal per poi lanciarsi in quello di Kundry. Segue un crescendo orchestrale fino all’introduzione del Motivo della Lancia che s’incunea con un forte accentato negli ottoni. Figura anche il Motivo del Puro Folle che si ‘oppone’ a quello di Kundry. Infine il preludio termina sfumando nuovamente nel piano e rallentando, mentre riecheggiano soffusi i lamenti delle Fanciulle-fiore e la voce di Kundry dall’atto precedente.

All’arrivo Parsifal, Wagner ancora una volta riassume gli eventi che noi come pubblico ignoriamo: sono gli eventi che hanno avuto luogo tra gli atti e che riviviamo attraverso gli scambi tra Gurnemanz e Parsifal. Apprendiamo del rifiuto di Amfortas di svelare il Graal per preservare le sue ferite, uccidendo di conseguenza Titurel e rendendo vecchi i cavalieri. La frase d’apertura del preludio di quest’atto per diminuzione pervade questo dialogo. C’è una ripresa del preludio d’apertura dell’atto nel momento in cui Parsifal narra delle sue lotte, ripresa che non si spegne mestamente a differenza di prima ma che invece termina con una cadenza in Fa# maggiore e il tema dell’Agape nella sua veste ‘redenta’.

Dopo che Kundry lava i piedi di Parsifal e dopo che egli in cambio la battezza in nome del Redentore, il Motivo della Fede risuona splendidamente e presto cede a una nuova e soave melodia mentre Parsifal guarda il paesaggio e la natura ridente, lasciando il posto alla musica. La scena de l’Incantesimo del Venerdì Santo è un altro punto chiave dell’opera, senza dubbio uno dei momenti musicali più ispirati di Wagner, che illustra come la natura che circonda i personaggi riflette la santità del giorno, rivelandosi in tutto il proprio splendore.

Eppure questa musica commovente, amorevole e pregna di un senso di meraviglia e speranza cede il passo ad un senso di sofferenza nel momento in cui Gurnemanz e Kundry conducono ancora una volta Parsifal al castello. Lo scenario cambia come per il primo atto, ma la musica è ben diversa: una figura di basso che descrive i cavalieri in lutto ci conduce attraverso numerosi cambi di tonalità e il basso delle quattro campane appare con le armonie più spaventose e meravigliose costruite su di esso. Ci troviamo di nuovo nella sala del Graal, dove le grida di disperazione e sofferenza di Amfortas giungono terribili e impressionanti alle nostre orecchie, fino a quando lui si alzerà per la prima volta nell’opera al culmine della sua disperazione, prima di essere interrotto da Parsifal per la scena conclusiva. Ora il Motivo della Fede viene squisitamente accompagnato e in questa forma sono finalmente rivelate le sue dolci spirituali armonie. Si odono anche i Motivi della Profezia/ Puro Folle e della Fede, mentre cantano i cavalieri sul palcoscenico e le voci nella cupola. Il Motivo del Graal, prominente in tutta la scena, si alza in uno spirito di sublime trionfo religioso.

Simmetrie nascoste

Se da una parte la musica di Parsifal è tra le più introverse di Wagner, poiché si basa su gesti musicali ‘economi’ e su sottili trasformazioni motiviche, la struttura del dramma è invece piuttosto chiara inizialmente. Anche il termine Bünhenweifestspiel, che accompagna il titolo dell’opera, è importante a livello semantico. Secondo Carl Dahlhaus, il cuore dell’azione e l’epitome del rituale è la scena del Graal. Quali erano le parole di Gurnemanz accompagnando Parsifal? “Qui il Tempo diventa Spazio”, ossia l’azione che muta in rito, che a sua volta finisce per abolire il tempo. Wagner ricrea sul palco un tableau, e tramite la ritualizzazione cui noi assistiamo dramma e musica assumono una dimensione spaziale che nell’opera è evidenziata dal cerimoniale e dalla simmetria a livello micro e macro strutturale.

I tre atti formano un arco, con il primo e il terzo a Monsalvato che racchiudono quello centrale nel dominio di Klingsor, fulcro dell’opera. Le somiglianze tra Atti I e III sono evidenti: ognuno inizia con una scena pastorale e presso la foresta, in cui Gurnemanz e Kundry sono poi raggiunti da Parsifal; entrambi gli atti sono divisi da un lungo passaggio di musica di trasformazione scenica per arrivare al tempio del Graal e, ancora, in entrambi il rituale corale della seconda scena prevede un lungo assolo di Amfortas. Ma, vi sono anche somiglianze che si estendono attraverso tutti e tre gli atti. Infatti, in ogni atto c’è un cambio di scena e un esteso passo corale e in ciascuno vi è un unico assolo o dialogo concepito come principale fulcro del peso drammatico-musicale. Lo sono la narrazione di Gurnemanz del primo atto, i dialoghi di Kundry e Parsifal nel secondo, e nel terzo gli scambi tra Gurnemanz e Parsifal che culminano nella musica del Venerdì Santo. Le scene corali, come quella delle Fanciulle-fiore del secondo atto o quelle legate al Graal (si pensi al finale dell’Atto I) sono musicalmente autosufficienti, chiuse in sé stesse e legate ai preludi o interludi musicali. Questa relazione è astratta; come i passaggi strumentali, le scene corali possiedono un carattere più forte come strutture puramente musicali. Nel caso delle due scene del Graal c’è anche una relazione specifica, poiché sono trasformazioni su larga scala della musica dal preludio dell’Atto I. Al contrario, i monologhi e i dialoghi sono fortemente retorici. Qui Wagner si concentra sul poema, sull’avanzamento del dramma e sulla creazione di allegorie musicali che commenteranno questi fenomeni verbali. Nel creare queste allegorie, Wagner va oltre i motivi del Ring, in cui certi temi sono davvero segnaposti letterali di oggetti e personaggi. Parsifal è considerata come la più introversa, astratta e votata al sinfonismo tra le opere di Wagner. E, come si è visto, in questo lavoro i preludi e gli intermezzi orchestrali hanno una loro certa prominenza. Tuttavia, quest’idea che il dramma wagneriano risieda esclusivamente nella sua musica destinata alle sale da concerto o in un gioco astratto di forme e tonalità, è errata. Com’è noto, l’immaginazione musicale di Wagner era fortemente stimolata da parole e immagini, e la sua musica modellata da questi elementi.

Come per il Tristan, la maggior parte dei motivi in Parsifal ha un apporto meno specifico; i loro molteplici significati referenziali tendono a insinuarsi nella percezione dell’ascoltatore, piuttosto che essere didascalici. In Parsifal è evidente come Wagner abbia lavorato duramente per ottenere una leggibilità. Una qualità voluta ed implicita nella sua scrittura orchestrale, persino all’interno di una scena ove regna incertezza tonale l’entrata dei cosiddetti ‘Grundthemen’ e il loro sviluppo armonico sono sempre chiari. Secondo Wagner, la capacità linguistica dell’orchestra consisteva nell’esprimere proprio ciò che non poteva essere espresso: i ‘Grundthemen’, che rivelano molto più di quanto le parole o gli eventi teatrali potrebbero mai trasmettere, ogni volta che vengono ascoltati costituiscono per noi degli ‘eventi dietro a degli eventi’, con le parole di Bertold Brecht. Le azioni, i concetti, le frasi o le cose cui sono associati sono le iniziali, piuttosto che delle etichette, ma trasmettono comunque un sotto testo articolando ciò che nessuno è in grado di pronunciare. Sopra ogni cosa, i preludi e gli interludi fungono da punti di coordinamento, definendo le situazioni drammatiche di base ancor prima che le parole e le azioni siano sopraggiunte e quando i passaggi strumentali – i ‘Grundthemen’ stessi o il loro sviluppo – esprimono ciò che ai personaggi è impedito di dire o persino conoscere.

A questo bisogna aggiungere tutti i fattori ‘sinestetici’ del lavoro, come la direzionalità della musica (cori invisibili, strumenti fuori scena, orchestra nel golfo mistico), i giochi di luce (foresta, cupole, luce del Graal) e i movimenti di chi partecipa ai rituali. Unico elemento di disturbo in tutto questo è nel I Atto l’iniziale rifiuto di Amfortas, prima crepa nella facciata di simmetria che minaccia la perfezione rituale della liturgia e musica. Naturalmente la simmetria ad arco si riflette anche nelle aree tonali usate e riprese da Wagner, in un sapiente gioco di convergenze e specchi e, sempre a proposito di simmetrie e strutture ad arco, si ripensi alle impressionanti scene di seduzione che Wagner ha scritto nel II Atto. Idealmente quella di Kundry potrebbe costituire un terzo e ultimo ‘stadio’ nel percorso di tentazione di Parsifal. Il primo sarebbe perciò l’episodio dell’evocazione di Kundry, dove Klingsor piega la donna di nuovo alla sua volontà, il secondo quello della Fanciulle-fiore dove la musica pare stabilizzarsi nuovamente nella dialettica diatonico/cromatica, infine il terzo stadio dove Wagner opera una sorta di sintesi dei primi due. È possibile osservare (e sentire) come Wagner impieghi aree tonali su larga scala, come una sorta di cerchio o, meglio ancora, spirale che ci conduce verso un episodio successivo. Per esempio, restando sempre nell’Atto centrale, si è già parlato del fatto che la tonalità che governa tutto sia il Si minore, e quindi la tonalità che ha introdotto il mondo di Klingsor tornerà anche nel momento in cui Parsifal manderà in frantumi il mondo magico dello stregone. Il Si minore sopravvive al gesto rappresentativo della croce di Parsifal e addirittura viene riaffermato sulle battute finali accompagnando il Motivo del Lamento del Salvatore e quindi anche il protagonista, ‘infettato’ per così dire dalla tonalità del peccato e maledetto ad errare.

L’orchestra in Parsifal

Si è detto come ognuno dei grandi drammi musicali wagneriani possieda un suo distinto linguaggio sonoro e con Parsifal Wagner si è certamente spinto all’estremo nella ricerca di massima coesione tra struttura musicale e soggetto drammatico. Questo estremo è raggiunto attraverso una sublimazione del suono orchestrale, dei timbri e delle combinazioni sonore che ora sono trasfigurate, e nel punto ove la concezione acustica dell’orchestra di Bayreuth nascosta nel celebre golfo mistico viene trasformata totalmente in struttura orchestrale. Parsifal è certamente la partitura wagneriana che fa l’uso più scaltro delle caratteristiche acustiche del Festspielhaus di Bayreuth e fu proprio la concezione wagneriana di dramma musicale a portare alla costruzione di questo teatro. È stato basato su modelli greci classici, costruito su progetto di Otto Brückwald ed inaugurato nel 1876 con la prima rappresentazione dell’intero ciclo di quattro opere che formano L’Anello del Nibelungo (direttore m. Hans Richter). Questo teatro è un caso unico non solo per le vicende storiche legate alla sua costruzione, ma anche per la particolarità dell’edificio vero e proprio. Gli interni sobri ed essenziali, l’assenza di palchi laterali, una forma a cuneo dell’auditorium e il golfo mistico che arriva fin sotto il palcoscenico e che oscura totalmente l’orchestra: tutti questi elementi vanno a contribuire alle singolari qualità acustiche del teatro, la musica che vi si ascolta, ma anche alle particolari sfide per direttori, musicisti, registi e cantanti che ancora oggi vi lavorano. 

Nel golfo mistico gli orchestrali sono disposti per sei file discendenti dagli archi agli ottoni e percussioni. Questa fossa favorisce una risonanza omogenea degli strumenti, poiché funziona da coperta fin sotto il palcoscenico di legno ove suonano i fiati ed è a sua volta protetta da una calotta di legno dal lato del pubblico. Tale schermo acustico aveva anche lo scopo, secondo Wagner, di purificare i suoni, soprattutto dai rumori esterni.

Debussy, colpito dalla potenza espressiva di quest’opera, nel 1903 affermò che “In nessun punto della sua musica Wagner raggiunge una così serena bellezza come nel preludio del III atto…e nell’Incantesimo del Venerdì Santo…È uno dei più bei monumenti sonori che siano mai stati eretti a gloria eterna della musica”. Altrettanto famoso è il commento di Wagner parlando dei ricercati timbri orchestrali di quest’opera: “Come strati di nuvole che si dividono e poi si ricompongono”. (diari di Cosima Wagner, 27-4-1879)

Quello sperimentato nel Parsifal è un suono davvero ultraterreno, certamente diverso da quello del Ring. Ciò è rimarcato anche da dati oggettivi, in particolare, rispetto all’opulenza dell’organico del Götterdämmerung – penultima partitura wagneriana – dal reparto degli ottoni sfoltito: i corni sono dimezzati (4 invece di 8), non vi sono tromba bassa o trombone contrabbasso e manca del tutto quel poderoso quartetto di Tenor e Basstuben che era stato espressamente concepito da Wagner per ispessire il suono del Ring. Anche se, in realtà, questa contrazione è almeno parzialmente compensata dal folto schieramento destinato alla musica di scena dietro le quinte. Pertanto si può parlare, almeno per certe sezioni della partitura, di una dislocazione del suono degli ottoni all’interno dello spazio drammaturgico-teatrale. Parsifal trae anche gran parte della sua forza nell’evocare sonorità e scene dall’antica liturgia romana e musica sacra polifonica. In alcuni punti con l’uso di timbri smorzati nei legni dell’orchestra, Wagner riesce persino a ricordare il timbro di un organo da chiesa. Si potrebbe anche parlare di un’influenza nascosta della Passione Secondo Matteo di Bach; non a caso questo linguaggio bachiano ritorna mentre Amfortas (e più tardi Parsifal) soffre per via delle ferite ed egli sperimenta il grido del Salvatore che s’impossessa del suo dolore (si pensi alle frasi di Cristo e le sue preghiere sul monte degli ulivi e il corale ‘Wenn ich einmal soll scheiden’). Lo stile di Palestrina pervade invece i cori celesti, trasformandoli in messaggeri astratti di salvezza, profezia e l’incarnazione dell’estasi divina.  

Considerazioni finali

Tra le opere di Wagner Parsifal occupa certamente un posto singolare, non solo per le sue eccezionali qualità musicali, ma anche per i sentimenti che l’hanno ispirato. Wagner stesso ha rivelato la natura intima della sua motivazione in un libro di memorie scritto poco dopo la prima rappresentazione: 

“L’effetto dell’atmosfera visiva e acustica nel teatro […] è stato quello di sollevarci dal mondo di tutti i giorni, e la nostra consapevolezza di questo è emersa chiaramente quando ci siamo sentiti invitati a tornare in questo mondo. In verità, Parsifal stesso deve la sua concezione e la sua esecuzione al mio volo da questo mondo.”

L’opera d’arte finale di Wagner poiché dramma musicale punta ad annullare il senso di alienazione attraverso una realtà snaturata e distorta, alla liberazione dal dolore dopo la riconciliazione e la compensazione, in un percorso iniziatico composto di specchi, attraverso sottili crepe dentro le sacre simmetrie e simboli rovesciati. E forse è stata proprio la speranza e la volontà che l’opera d’arte potesse portare con le proprie forze la salvezza e la redenzione a circonfondere quest’ultima opera di Wagner di un’aura di misticismo. Opera del ‘non ritorno’, Wagner progettava un ritorno alla scrittura di musica sinfonica dopo Parsifal. L’ultima tappa di una carriera musicale lunga e articolata, nel segno del genio rivoluzionario, quest’opera riassume in sé e testimonia il carattere ‘epico’ in senso Omerico del teatro wagneriano, un’incredibile ricchezza e varietà d’impasti strumentali e la massima flessibilità nelle trasformazioni motiviche. Inoltre, Parsifal incorpora non solo le conquiste ‘linguistiche’, spingendosi più in là in termini drammatico-musicali, ma anche le sonorità da opere wagneriane precedenti. Presenti all’appello sono il simbolismo armonico del Tristano e Isolda, la maestosità diatonica dei Maestri Cantori, le note eteree del Lohengrin e naturalmente L’Anello del Nibelungo, in particolar modo il Crepuscolo degli Dei con le sue incredibili manipolazioni allegorico-motiviche. Entrando più nello specifico, si possono citare l’addio di Lohengrin presente quando Parsifal uccide il cigno sacro e Gurnemanz rimprovera l’empio gesto, la seduzione di Kundry che avviene su un cromatismo ‘tristaneggiante’, mentre le gilde dei Meistersinger riecheggiano nei cori dei cavalieri del Graal. Ma, nonostante la natura decadente, fortemente simbolica, il sound mistico e a tratti cupo di un’opera come Parsifal, si può tuttavia affermare che Wagner sia sempre stato un compositore desideroso di essere compreso, e infine anche accettato. Lo rivelano non solo le sue didascalie o i suoi scritti teorici, ma semplicemente le sue partiture. Opera notoriamente controversa che ancora oggi provoca accesi dibattiti su più fronti, Parsifal è anche un’opera ricca di contraddizioni interne. Come se non bastasse, non è concepibile senza riferimento al simbolismo cristiano eppure non è un’opera puramente cristiana. Per giunta è intrisa di contaminazioni pagane e l’influenza e tradizione buddista. Ritorna, inoltre, il concetto di redenzione così essenziale alla poetica wagneriana, concetto che aleggia già dai tempi de L’Olandese Volante (opera scritta quarant’anni prima) e puntualmente l’opera si chiude con l’enigmatico richiamo ‘Redenzione al redentore!’. L’opera termina ma resta sospesa in assenza del verbo: la Redenzione è compiuta o deve ancora compiersi? Sono dubbi che, inevitabilmente, emergono ascoltando Parsifal. Ma un’opera d’arte in fin dei conti non è un nodo da sciogliere o un lucchetto a combinazione da scassinare. Certi misteri sono, dopotutto, anche parte del successo e fascino dei drammi wagneriani. Ciò è certo però è che con Parsifal Wagner sia riuscito a costruire un suo personale universo paradossale in perfetto equilibrio: affascinante, arcaico e modernissimo allo stesso tempo.

Tiziano de Felice

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