El Decameron Negro

ovvero il post-moderno di Leo Brouwer

Autore: Redazione

7 Gennaio 2019

El Decameron Negro di Leo Brouwer è una delle massime composizioni del repertorio classico chitarristico. Composta nel 1981, dopo sette anni di digiuno compositivo per questo strumento, l’opera, all’unanimità dei critici, è considerata come espressione del periodo “post-modernista” dell’immenso compositore cubano.
Per comprendere le caratteristiche tecniche e stilistiche della composizione, per
ò, risulta necessario tenere in considerazione le fasi musicali precedenti; infatti se ci si limita ad una visione astratta delle cose, le suddivisioni della fase d’attività di un compositore ci paiono marcate e nette, ma se si analizzano le opere, da diversi punti di vista, si osserverà come i confini si rivelino subito labili, e come ogni composizione sia allo stesso tempo la logica conseguenza di quelle precedenti e la base per quelle successive.
Il primo periodo compositivo
è denominato “folklorico” e va dal 1955 al 1962. Le opere di questa fase sono fortemente influenzate dalla musica etnica cubana, con cui Brouwer era a stretto contatto, non solo a causa della grandissima rilevanza sociale che quest’arte rivestiva presso quel popolo – e dunque della grande quantità di musiche presenti – ma anche a causa dell’influenza del padre, chitarrista dilettante. Per farci un’idea di questo, ad esempio, Dos temas populares cubanos (1956), una delle primissime composizioni, è un arrangiamento per chitarra, appunto, di due motivi della tradizione folklorica cubana: Canción de cuna e Ojos Brujos. Così anche Dos Aires Populares Cubanos e i Tres Piezas Latinoamericanas, entrambi del 1962. Ma è probabilmente in Danza Caracteristica (1957) che il compositore si serve maggiormente di elementi musicali propri della musica popolare del suo territorio. Il brano è fondato sulla ripetizione e la variazione di una cellula ritmica di due battute – come avveniva nei canti tipici – dall’autore stesso definita come un loop di ”ritmo conga”: nella linea di basso, infatti, è facilmente individuabile il pattern ritmico del tresillo (due crome puntate e una non puntata in un tempo binario) – largamente impiegato nella musica degli Yoruba nigeriani, deportati a decine di migliaia anche a Cuba fin dal XVI secolo – che, in ostinato, conferisce un incessante ritmo di danza all’intero brano; nella risposta del soprano (voce così indicata per facilità di comprensione) è riconoscibile il cinquillo, figurazione ritmica allo stesso modo derivante dalla tradizione musicale dell’Africa nord-occidentale e, poi, radicatasi naturalmente nella cultura cubana.
Successivamente, tra il 1960 e il 1970, Brouwer giunse diverse volte in Europa, dove frequent
ò i principali festival musicali dell’epoca: a Zagabria, Venezia, Berlino. Qui entrò in contatto con la musica d’avanguardia di Nono, Henze, Messiaen, i quali impiegarono nuove tecniche, stili e sonorità che ben presto costituirono la nuova cifra dell’estetica musicale occidentale. Le opere del periodo “modernista” (1964-1975) manifestano, dunque, una particolare tendenza alla sperimentazione e all’innovazione rispetto ai canoni stilistici. Ad esempio, La Espiral Eterna (1971) è un brano atonale, aleatorio e ricco di cromatismi; parte del materiale musicale è organizzato sul concetto di spirale, presente in natura (individuabile nella conformazione del mollusco Nautilus) e sulla sequenza matematica della sezione aurea. Tarantos (1974) è un brano costituito da diverse sezioni cromatiche che vengono collegate tra loro, nel modo e nella durata, a discrezione dell’esecutore.
Nel periodo “post-modernista” (1981-1996 circa) convergono le caratteristiche di queste due fasi compositive: si mescolano perfettamente le radici musicali afro-cubane e le sperimentazioni avanguardistiche, gli scanditi ritmi delle danze tribali e l’aleatoria modernista, il lirismo dei canti rituali e le aspre armonie impiegate in un sistema atonale. Con El Decameron Negro, brano che inaugura questa nuova stagione compositiva, Brouwer attua un’armonica commistione di “minimalismo, iper-realismo, nuova semplicit
à e fusione di musica popolare e colta”.
Con consapevolezza – seppur generale – del percorso d’evoluzione musicale del compositore fin dalle origini, si pu
ò analizzare l’opera in questione.

El Decameron Negro (1981)

L’ispirazione per la composizione dell’opera viene dalla lettura di un libro di racconti popolari africani raccolti dall’antropologo ed etnologo tedesco Leo Frobenius tra il 1910 e il 1915 in antichi villaggi nel territorio compreso tra l’Algeria e il Togo.
Il brano de Il Decamerone Nero (1915) da cui avrebbe tratto spunto Brouwer racconta la vicenda di un ragazzo che si rifiuta di combattere per la propria trib
ù, poiché, pur essendo giovane – e dunque in dovere di servire la propria comunità con le armi – tuttavia preferisce suonare l’arpa ed essere un musicante. Per questo viene espulso dalla tribù. Ma egli è innamorato della figlia del capo della tribù: i due, allora, fuggono dal villaggio, insieme.
La composizione
è divisa in tre movimenti, ognuno dei quali rappresenta un momento saliente della vicenda di riferimento.

I. El Arpa Del Guerrero (L’arpa del guerriero)

Leo Brouwer
L’incipit dell’opera è una sequenza improvvisa ed incisiva di sei note ascendenti, in forte, che termina su un punto coronato, su cui si chiude la prima sezione. Segue un arpeggio ostinato di due battute (3-4) in cui, nonostante il piano, emerge una pesante accentuazione ritmica scandita dai bassi ascendenti, che richiama i ritmi tipici delle musiche tribali africane. A questa sequenza risponde, sempre in modo conciso ed incisivo, la voce del soprano (così chiamata per facilità di comprensione) che si dissolve, nuovamente, in un punto coronato.
Innanzitutto è facilmente individuabile la suddivisione dell’intera sezione riportata in tre cellule di due battute ciascuna. La prima cellula (a) costituisce l’incipit vero e proprio del brano ed è nettamente separata dalla seconda (b) la quale , però, è strettamente connessa all’ultima cellula, che ne è la risposta. Così, l’intera sezione è rappresentabile secondo questo rapporto: [A] B + C. Soffermandoci sul carattere responsoriale delle ultime due cellule, riconosciamo come esso sia una caratteristica propria della musica tribale africana eseguita in collettività (durante rituali magico- religiosi, ad esempio), in cui c’erano due piccoli gruppi che si alternavano nel canto.
A ciò si mescola l’impiego di un impianto atonale. Ma è interessante riportare la tesi di alcuni studiosi che, in questo movimento, hanno preferito supporre un principio di bitonalità (cfr. Paul Century “Idiom and Intellect” // John Bryan Huston “The Afro-cuban and the avant-garde: unification of style and gesture in the guitar music of Leo Brouwer”).
Sempre nelle battute 3-4 (es.1.1), nella linea di basso, eseguita dal pollice, è individuabile una triade maggiore di Reb in secondo rivolto (Lab-Reb-Fa), mentre nelle voci superiori è presente una triade di Sol (Si-Sol) con il quinto grado abbassato, in quanto il Reb è nota comune ai due accordi. Brouwer
Per inquadrare da un punto di vista concettuale il movimento nel suo insieme, Brouwer stesso riferisce che esso è “un ritratto del ragazzo che si rifiuta di combattere per suonare l’arpa”3. La scrittura è dinamica, fluida e richiama efficacemente lo stile esecutivo arpistico. Ciò si evince dalla presenza di serie di sequenze accordali arpeggiate – con bassi lasciati a risuonare – che conferiscono estrema cantabilità al brano (es.1.2 e 1.3).
In pi
ù, può essere utile per l’interpretazione del movimento – analizzandolo e lasciandoci suggestionare – riconoscere come sia reso in modo estremamente efficace il contrasto interiore che vive il giovane: da una parte, con il lirismo e la cantabilità, è evocato il sentimento d’amore per la donna e, dall’altra, con un impianto in cui è assente un centro tonale e con armonie non costruite sulle regole dell’armonia classica, è espresso lo spirito guerriero e combattivo del personaggio.

II. La Huida de Los Amantes Por el Valle de Los Ecos (La fuga degli amanti attraverso la valle degli echi)

Brouwer
Anche qui, l’incipit del movimento è estremamente incisivo (es. 2.1). E’ un declamato pesante in cui ognuna delle cinque note è fortemente scandita da un accento, e si chiude con l’ultima nota in dissolvenza, quasi a richiamare la formula ritmica incipitale del primo movimento. Nelle due battute successive viene riproposta la stessa sequenza, ma con la progressiva aggiunta prima di due e poi di tre note, che ampliano lentamente (pesantemente) l’idea iniziale, portandola sempre più al suo compimento. Questo è l’incerto emergere dell’idea della fuga, che sovviene definitivamente nella battuta successiva (es. 2.2). Ecco, infatti, il presage, il presagio, che è rappresentato dalla stessa sequenza di note dell’incipit ma non più in semiminima, bensì in biscrome: quello che era un pensiero astratto, impreciso, ha preso forma, ora, nell’idea della possibilità di fuggire, che si fa via via più concreta man mano che viene rivalutata – ed ecco la riproposizione, per tre volte, della sequenza delle due battute del presagio.

Brouwer
Inizia, dunque, la fuga, con il primo galoppo degli amanti in sella al cavallo (es. 2.3). Brouwer, in questa sezione, ha intelligentemente tolto l’indicazione di tempo (0/4), creando un ambiente non-metrico – dunque senza tempi deboli e forti – dove il materiale musicale può fluire liberamente, così da riprodurre efficacemente il galoppo del cavallo. Nella sezione si parte da un pp in un progressivo accelerando, fino ad arrivare al forte e, in crescendo, al forte molto, per poi diminuire a poco a poco: la fuga inizia incerta, ma, man mano, la volontà dei due si fa sempre più forte e, così, spronano il cavallo ad una corsa sempre più incessante e quasi ansiosa.

Brouwer
Ma, preso l’avvio, emerge, nuovamente, il presagio: questa volta è un ripensamento breve, fugace (viene proposto solo una volta), del loro gesto. Allora rapidamente si riconsidera l’idea originaria della fuga (declamato, es. 2.4), che pare quasi lontana, sbiadita – così resa dall’impiego di un tempo più largo, in diminuendo e con un punto coronato finale -, subito raggiunta dall’opposto ricordo (recuerdo), probabilmente, della dolce condizione di pace in cui i due potrebbero tranquillamente vivere se abbandonassero la fuga.
In questo efficacissimo gioco psicologico, reso da cambi di tempo e di carattere, alla fine prevale l’amore e, d’improvviso, i due fuggono por el valle de los echos (es. 2.5). La fuga è resa con l’improvvisa introduzione di un accordo in forte e con l’esecuzione in andamento rapido e galopante di un’incalzante arpeggio ripetuto, dove l’effetto eco è reso dalla ripetizione in diminuendo delle note finali.
La fuga appassionata dei due costituisce il resto del movimento, fino a che si giunge all’epilogo, dove ritorna la figurazione del precedente presagio, in lento dissolvimento fino alla fine del movimento: l’idea della fuga d’amore, ora, genera solo sentimenti di pace e tranquillità.
Per concludere, si osservi come il fatto che l’intero movimento sia un’evoluzione dell’idea musicale di partenza sia un principio su cui si fonda la creazione musicale presso le civiltà tribali dell’Africa occidentale, le quali, non possedendo un sistema di notazione per tramandare le melodie, possedevano, nel proprio repertorio orale, delle brevi cellule tematiche fisse, dalle quali si iniziava l’esecuzione e sulle quali essa si sviluppava, in modo diverso ogni volta.

III. Ballada de La Doncella Enamorada (La ballata della fanciulla innamorata)


L’ultimo movimento, come gli altri due, presenta innanzitutto una breve sezione ritmica, chiusa da una netta cesura di frase (es. 3.1). L’ictus iniziale di quest’introduzione è acefalo, ossia presenta una pausa sul battere e, così, sui tempi forti delle battute.


Subito inizia la ballata (es. 3.2), il cui ritmo, anche qui, è scandito dalla voce superiore in contro tempo. Caratteristica, questa, propria di una certa musica tribale dell’Africa nord-occidentale impiegata durante occasioni di danza collettiva (Kofi Agawu “Rhythmic structure of West african music” (Journal of Musicology, 1987). L’intimo sentimento d’amore è evocato dal carattere sempre lirico del soprano che si muove per toni discendenti. La passione della donna non è dirompente, accesa, bensì dolce e delicata: ciò viene perfettamente reso dall’andamento moderato, dall’impiego di armonie estremamente consonanti (I-V-I; I-IV-I) e, in più, dalla presenza di sottili armonici eseguiti sulla prima corda che si inseriscono nel movimento della melodia.

Più tardi da un moderato si passa, d’improvviso, ad un più mosso (es. 3.3), che segnerà, fino alla fine, il carattere del movimento: la passione, ora, si è fatta travolgente.
La potenza espressiva, quasi furiosa, dell’ultima parte racchiude tutti i sentimenti espressi dall’inizio (amore, volontà di fuga, incertezza, nostalgia ecc) giungendo, così, al punto di maggior tensione dell’intera opera, la quale, però, si chiude, d’improvviso, con un pizzicato in pp, che riprende l’incipit del movimento, in modo semplice, ingenuo e quasi ironico: tutto si è vanificato, come in una bolla di sapone.


Marco Mallardi

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

Articoli correlati